Secondo la definizione di Wikipedia
La memoria a breve termine (MBT), anche chiamata memoria primaria o attiva, è quella parte di memoria che si ritiene capace di conservare una piccola quantità di informazioni chiamata span (tra i 5 e i 9 elementi, Miller 1956) per una durata di 20 secondi circa.
Questo, secondo gli esperti, presuppone che i dati vengano mantenuti in un circuito di neuroni sotto forma di attività elettrica. Un nuovo esperimento di Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) ha dimostrato però che i ricordi possono essere in qualche modo recuperati – il come ancora ci sfugge – anche quando di fatto non c’è più l’attività neuronale che riflette la loro permanenza.
Da sempre i ricercatori ritengono che, per mantenere qualcosa in memoria, i neuroni debbano necessariamente essere attivi. Quello che abbiamo osservato noi è che le persone ricordano le informazioni in maniera quasi perfetta in assenza di attivazione neuronale visibile. Il fatto che il ricordo si possa richiamare completamente dimostra che non è andato perduto: semplicemente, non siamo in grado di vedere dove e in che modo è stato immagazzinato nel cervello. Bradley Postle, coautore dello studio.
Quando dimentichiamo rapidamente il nome dell’interlocutore che ci è appena stato presentato, ci diciamo di avere una pessima memoria per i nomi o delle pessime capacità attentive; questo, in parte, può essere vero. Nathan Rose e colleghi, però, sono riusciti a dimostrare che non è necessario mantenere attiva l’attenzione in maniera costante: ci sarebbero altri modi in cui la memoria a breve termine immagazzina le informazioni. Modi che ancora non conosciamo e non siamo in grado di osservare.
La memoria è forse, tra tutte, la funzione cognitiva più affascinante. I ricercatori la studiano da tempo nel dispiegarsi dei suoi vari magazzini e ad oggi, l’aspetto forse più oscuro, è proprio quello che riguarda il come i ricordi “latenti” possano essere recuperati al bisogno, quando servono.
Indice
Lo studio
Un gruppo di volontari viene fatto sedere su una sedia ed esposto a una serie di immagini (parole o volti), alcune delle quali evidenziate come “importanti da ricordare” (i volontari sono a conoscenza del fatto che saranno successivamente sottoposti a un test di memoria).
Gli sperimentatori forniscono ai soggetti un falso indizio di ciò che sarà chiesto: se durante l’esposizione era stato marcato come “importante da ricordare” un viso, viene mostrata una parola – e viceversa.
Cosa si è visto
Il software utilizzato per evidenziare l’attività cerebrale ha rilevato che se i soggetti venivano distratti dal falso indizio, l’attività cerebrale sottostante lo stimolo “importante da ricordare” tendeva a scomparire, come se lo stimolo stesso venisse dimenticato. Se però l’indizio veniva smentito, e quindi il test si svolgeva davvero sullo stimolo marcato, quest’ultimo poteva essere recuperato senza batter ciglio. L’informazione immagazzinata nella memoria a breve termine, dunque, sarebbe mantenuta con meccanismi diversi dall’attività neurale sostenuta. Dobbiamo solo capire quali!