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Personalità e uso di droghe, una testimonianza

ragazza sdraiata

La dipendenza da stupefacenti e alcolici è purtroppo una triste realtà, ormai quotidiana, che spesso si manifesta anche dove non ci immagineremmo. Nel caso che segue è proprio un’ex tossicodipendente a parlare e ci racconta di come il suo approccio alle droghe sia stato tanto precoce quanto specchio di una disperazione che difficilmente ha potuto trovare sollievo se non che, per l’appunto, negli stupefacenti.

Brevemente: il meccanismo della dipendenza sfrutta il rilascio forzato, da parte di una sostanza esterna, di un potente neurotrasmettitore contenuto già nel nostro organismo, la dopamina. Questa sostanza è utilizzata dai neuroni di molte regioni cerebrali coinvolte nella motivazione e nel rinforzo con particolare addensamento nel Nucleo Accumbens (NAc).  I neuroni contenenti dopamina presenti nel NAc sono attivati da stimolazioni motivazionali provenienti dalla Corteccia Orbitofrontale (OFC) che incoraggiano la persona a determinati comportamenti e soprattutto alla loro ripetizione. Anche minime quantità di alcool (facciamo l’esempio degli alcolici) sono in grado di aumentare il rilascio di dopamina nel NAc. Ciò contribuisce al rinforzo di tale azione (effetto “ricompensa”), influenzando anche il processo decisionale della OFC (area cerebrale deputata al Decision Making) che tenderà a voler ripetere quell’azione per il piacevole effetto-ricompensa ottenuto. Di conseguenza si creerà un circolo vizioso di azione-rinforzo (in dopamina) che costituirà una parte molto importante nel consolidamento dell’abitudine a consumare alcolici. Al contrario di altre stimolazioni quelle collegate con l’alcool mantengono il loro significato motivazionale anche dopo ripetute assunzioni e questo fatto sfocia poi nel tipico “craving” degli alcolisti.

In parole molto povere, la dopamina è come una sorta di “timbro di approvazione” che il nostro cervello appone su ogni azione che ci provoca un piacere fisico o psicologico. E’ ovvio poi che qualsiasi azione “approvata” sarà ripetuta più facilmente con conseguenti altre “approvazioni” che consolideranno sempre di più l’atto in questione. Ecco così il formarsi di un’abitudine o, in casi patologici, di una dipendenza.

La testimonianza che segue è di Maia Szalavitz, una brillante reporter americana di 51 anni con un trascorso d’abuso di sostanze stupefacenti risalente alla sua età pre-adolescenziale.

“L’educazione alle droghe è la parte che ricordo meglio del programma scolastico alle scuole medie, forse perché poi mi si è ritorta contro in maniera colossale. Prima di raggiungere l’età per cui, negli U.S.A. è legale assumere alcolici, facevo uso di eroina e cocaina. Da allora sono riuscita ad uscire dal tunnel della dipendenza, e ora i ricercatori stanno cercando di sviluppare programmi di prevenzione innovativi per aiutare i bambini a rischio prendere una strada diversa da quella che ho preso io.

Lo sviluppo di un programma antidroga pubblico, che funzionasse davvero, non è stato affatto facile. Molti di noi sono cresciuti con i programmi antidroga come il “D.A.R.E.” o la campagna antidroga ispirata ai lavori di Nancy Reagan  “Just Say No” (Basta dire No). Tuttavia la ricerca ha sempre mostrato i programmi e le tattiche di istruzione come intimidatorie. Questo connotato contribuiva a rendere gli interventi in gran parte inefficaci, frenando di poco l’utilizzo di stupefacenti fra i bambini ad alto rischio.

Ma ora un nuovo programma antidroga testato in Europa, Australia e Canada sta mostrando dei risultati promettenti. “Preventure” (nome di questo nuovo intervento), sviluppato da Patricia Conrod, professoressa di psichiatria presso l’Università di Montreal, considera il temperamento di un bambino come possibile fattore di rischio nella predisposizione all’uso di droghe. I primi studi clinici infatti, dimostrano che il test della personalità è in grado di identificare il 90% dei bambini a rischio, individuandone i tratti predisponenti prima che possano causare problemi.

Riconoscendo che la maggior parte degli adolescenti che cerca alcool, cocaina, oppiacei o metanfetamine non diventa dipendente, si concentrano su ciò che c’è di diverso nella minoranza che invece sviluppa questa dipendenza.

I tratti comuni nei bambini ad alto rischio di dipendenza non sono quelli che genericamente ci si potrebbe aspettare, io infatti sembravo una candidata improbabile per lo sviluppo di dipendenza da stupefacenti. Eccellevo sia accademicamente che in condotta e ho partecipato a numerose attività extrascolastiche. Tuttavia soffrivo anche di solitudine e ansia perché, in realtà, le stesse doti che mi rendevano eccellente nel mondo accademico mi hanno anche reso la vita sociale pressoché impossibile.

Ecco perché, quando una mia insegnante ha spiegato che la pressione dei pari potrebbe spingere a trarre sollievo dagli stupefacenti, quello che ho sentito invece è stato: “Le droghe vi renderanno più appetibili agli occhi degli altri“. Dato quindi che mi percepivo come una reietta, le sostanze psicoattive mi sono sembrate qualcosa di molto allettante.

I programmi di test della personalità del Preventure vanno più in profondità. Essi si concentrano su quattro tratti a rischio:

  • ricerca di sensazioni
  • impulsività
  • sensibilità
  • angoscia / disperazione

È importante sottolineare la possibilità di individuare in anticipo la maggior parte dei bambini a rischio. Ad esempio, in età prescolare mi è stata data una diagnosi di disturbo da deficit di attenzione / iperattività (A.D.H.D.), fattore che aumenterebbe il rischio di tossicodipendenza del 33,3%. A monte dei miei problemi sociali, tuttavia, vi era una difficoltà nel regolare le emozioni che spesso sfociava in un’ipersensibilità ingestibile. Queste mie caratteristiche hanno suscitato una forte attrattiva da parte dei bulli della mia scuola. Ciò, col tempo, ha portato all’isolamento e poi alla disperazione. Un bambino che inizia ad assumere farmaci per il senso di disperazione – come me, per esempio – ha un obiettivo molto diverso da colui che cerca emozioni.

Tre dei quattro tratti di personalità individuati dal Preventure sono legati a problemi di salute mentale, fattore di rischio importante per la dipendenza. L’impulsività, per esempio, è comune tra le persone con A.D.H.D., mentre la disperazione è spesso un precursore della depressione. L’ansia, invece, è legata al disturbo d’attacco di panico.

Mentre la ricerca di sensazioni fine a se stessa non è collegata ad altre diagnosi, aumenta il rischio di dipendenza per l’ovvia ragione che le persone sono attratte dall’idea di provare esperienze intense come quelle che nel loro immaginario può dare la droga.

Il Preventure inizia con la formazione degli insegnanti ai quali viene concesso un corso accelerato dove si spiega come approcciarsi ai problemi psicologici. L’idea è infatti quella di evitare che le persone con personalità a rischio sviluppino la convinzione di avere disordini mentali auto-stigmatizzandosi, o nel caso della ricerca di sensazioni, di sviluppare comportamenti pericolosi.

Quando l’anno scolastico inizia, gli studenti compilano un test di personalità per identificare, fra di essi, i valori anomali. Mesi dopo, vengono strutturati due workshop di 90 minuti – introdotti come un modo “per incanalare la vostra personalità verso il successo” – offerti a tutta la scuola, con un numero limitato di posti. Anche se la selezione appare casuale, solo quelli con i punteggi estremi del test in realtà arrivano a partecipare ed i workshop vengono basati proprio sulle loro caratteristiche critiche.

Nei workshop vengono insegnate agli studenti (ed incoraggiati ad usarle) delle tecniche cognitivo-comportamentali volte ad affrontare specifici problemi emotivi e comportamentali.

Il Preventure è stato testato con ottimi risultati in otto studi clinici randomizzati in Gran Bretagna, Australia, Olanda e Canada. Infatti, nei suddetti casi è stato rilevato, alla fine del trattamento, un significativo calo nell’uso generico di sostanze stupefacenti e alcolici da parte degli studenti partecipanti.

Uno studio pubblicato su JAMA Psychiatry nel 2013 ha coinvolto oltre 2.600 ragazzi fra i 13 e i 14 anni in 21 scuole britanniche, metà dei quali sono stati randomizzati come da programma. Nel complesso, dopo il Preventure si è registrato un abbassamento dell’uso di sostanze alcoliche, nelle scuole selezionate, del 29% – anche tra coloro che non hanno partecipato laboratori. Tra i giovani ad alto rischio che hanno invece assistito, l’abuso di alcolici è sceso del 43%.

La Dr.ssa Conrod sostiene che il Preventure probabilmente ha influenzato i non partecipanti perché potrebbe essersi ridotta la pressione verso i pari da parte degli studenti che hanno partecipato invece al programma. La Conrod sostiene anche che la formazione degli insegnanti li abbia resi anche più empatici nei confronti dei ragazzi a rischio i quali potrebbero sviluppare così un legame più forte con la scuola, fattore protettivo nell’uso di droghe.

Studi longitudinali compiuti nel 2009 e nel 2013 hanno dimostrato anche che il Preventure ha ridotto i sintomi della depressione, attacchi di panico e comportamenti impulsivi.

Per i ragazzi con tratti di personalità che li predispongono al rischio, imparare a gestire le proprie diversità è spesso difficile ma potrebbe cambiare un’evoluzione personale che potrebbe portare alla tragedia.”

Abbiamo quindi potuto osservare, grazie alla preziosissima testimonianza della Szalavitz, che lo sviluppo di una dipendenza non sembra una vera e propria scelta. Infatti, in questo caso, sembra che essa sia scaturita da un persistente senso di vuoto e disperazione legati alla ricerca dell’approvazione da parte dei pari. La testimonianza parla anche di pressione da parte di quest’ultimi, un fattore sociologico oggi determinante in qualsiasi tipo di movimento sociale: dal seguire una moda, al “decidere” ciò che ci piace o meno, all’assunzione di droghe e alcolici. Il fatto che la dipendenza non sia proprio una scelta è dimostrato anche dai tratti di personalità che il Preventure ha individuato come fattori di rischio (impulsività, ricerca di sensazioni forti, alta sensibilità, angoscia/disperazione). Tali tratti sembrerebbero predisporre l’individuo ad un percorso di dipendenza che non è detto però si sviluppi davvero, se il contesto non lo permette. D’altronde il Preventure stesso è riuscito ad abbassare notevolmente l’abuso di sostanze sia da parte dei partecipanti ai workshop, sia da parte dei non partecipanti, giocando appunto sull’influenza della “pressione dei pari”.

Se la prima assunzione può essere una scelta, ciò che ne scaturisce dopo raramente lo è, a causa dei meccanismi neurofisiologici dell’assuefazione.

Possiamo quindi, infine, analizzare la dipendenza da sostanze psicoattive sia nel suo nascere che nel suo perpetrarsi nel tempo, su diversi livelli quali sono quelli che rappresentano una persona nella sua interezza:

  • a livello microscopico: a causa dei meccanismi neurofisiologici dell’assuefazione (conseguenza del rinforzo dopaminergico) scaturito dall’assunzione di sostanze psicoattive, o a causa di problemi d’impulsività nel decision making (attività deputata alla OFC) che spesso tendono a tradursi nella preferenza per il rinforzo immediato senza badare alle conseguenze a medio/lungo termine
  • a livello psicologico ed emotivo: per la ricerca di un sollievo da sensi pervasivi di vuoto e disperazione o per il semplice desiderio di ricerca di sensazioni forti
  • a livello sociale: per una questione di desiderabilità e affiliazione, di cui la pressione dei pari è una delle tante parti costituenti; a causa di contesti socio-culturali molto degradati; a causa di dinamiche relazionali disfunzionali, talvolta proprie di relazioni coercitive.

La mia speranza è che vengano intraprese iniziative preziose come quella del Preventure anche in Italia e che il grande coraggio di Maia Szalavitz, nell’aver reso di dominio pubblico i capitoli più bui della sua vita nel suo libro “Unbroken Brain”, possa essere d’esempio a molte altre persone perdute nel labirinto della dipendenza, per trovare l’uscita e un nuovo amore per se stessi.

Antonino Sidoti, psicologo

References

  • The 4 Traits That Put Kids at Risk for Addiction, Maia Szalavitz, New York Times
  • “Unbroken Brain”, St. Martin’s Press
  • PreVenture Program
  • Conrod, P. J., Stewart, S. H., Comeau, N., & Maclean, A. M. (2006). Efficacy of cognitive-behavioral interventions targeting personality risk factors for youth alcohol misuse. Journal of Clinical Child and Adolescent Psychology, 26(4), 550-563
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