HomeInnovazioneRobotica e Intelligenza ArtificialeUna neuroscienziata spiega Neuralink, l’interfaccia uomo macchina da impiantare nel cervello

Una neuroscienziata spiega Neuralink, l’interfaccia uomo macchina da impiantare nel cervello

Mano umana e robotica

Neuralink è un progetto ambizioso che mira a sviluppare interfacce cervello-macchina impiantabili. Si tratta di una startup tecnologica fondata da Elon Musk che probabilmente arriverà a impiantare nel cervello umano i primi dispositivi nel 2020. Ma non sappiamo davvero cosa questo potrà comportare per i futuri abitanti del pianeta

Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.

Parola di Arthur C.  Clarke, autore di “2001: odissea nello spazio” e una tra le menti più lungimiranti riguardo al futuro e ai cambiamenti che la tecnologia avrebbe apportato alle nostre vite.

Definizione stessa di magia è la possibilità di fare qualcosa che va oltre le nostre capacità umane: parlare senza aprire bocca, accendere una luce con la sola forza del pensiero, usare una intelligenza artificiale per aumentare la nostra. No, non siamo dentro a un romanzo di fantascienza ma alla presentazione del progetto Neuralink alla California Academy of Sciences.

Incantatore dell’evento tenutosi lo scorso 16 Luglio è Elon Musk, eccentrico CEO di Tesla e SpaceX e padre della neonata Neuralink, compagnia di neurotecnologie fondata nel 2016 con lo scopo di sviluppare interfacce cervello-macchina (brain-computer interface, BCI) impiantabili.

Cosa è una Brain Computer Interface, ovvero interfaccia cervello-computer

L’idea di una interfaccia neurale, ovvero lo sviluppo di strumenti in grado di creare una comunicazione diretta tra il nostro sistema nervoso e l’esterno bypassando la nostra corporeità, non è certo nuova nel campo delle neuroscienze. La sua storia affonda le radici quasi un secolo fa, nel 1924, quando Hans Berger scoprì l’esistenza di attività elettrica nel cervello grazie ad uno strumento semplice, economico e poco invasivo: l’elettroencefalogramma (EEG).  Non passarono molti decenni prima che gli USA avviassero un programma di studio sull’uso dell’EEG per comprendere i meccanismi di comunicazione del cervello. Nel 1976 tale interesse trovò risposta con la dimostrazione che fosse possibile comandare un cursore su uno schermo utilizzando i potenziali evocati visivi, una risposta elettrica della corteccia visiva all’apparizione di uno stimolo visivo.

 

Figura schema di come funziona una Brain Computer Interface. Link al paper originale

Grazie alle sue incredibili potenzialità, primariamente volte al miglioramento dell’autonomia di pazienti con disabilità motorie ma estendibili al potenziamento cognitivo e a scopi non clinici (ludici e domotici, ad esempio), la ricerca sulle interfacce neurali è letteralmente esplosa, dando risultati che hanno ampiamente soddisfatto le speranze ripostevi.

Come funziona praticamente una interfaccia neurale (BCI)

Paralizzata da un ictus da almeno 15 anni, il 12 Aprile 2011 questa donna ha usato il suo pensiero per controllare un braccio robotico e concedersi, autonomamente, un sorso di caffè. Merito del progetto Braingate2 sviluppato dalla Brown University. Era la prima volta che il sistema BCI veniva utilizzato per controllare un device nello spazio tridimensionale.

Paralizzata da un ictus da almeno 15 anni, il 12 Aprile 2011 questa donna ha usato il suo pensiero per controllare un braccio robotico e concedersi, autonomamente, un sorso di caffè. Merito del progetto Braingate2 sviluppato dalla Brown University. Era la prima volta che il sistema BCI veniva utilizzato per controllare un device nello spazio tridimensionale.

Sebbene sia possibile utilizzare diversi strumenti, invasivi e non, per registrare l’attività elettrica del cervello, in linea generale un dispositivo BCI segue una procedura ben precisa. Il segnale ottenuto viene innanzitutto amplificato, ripulito e decodificato usando degli algoritmi atti a classificare le diverse informazioni raccolte. Una volta decodificato, il segnale viene infine trasformato in un comando in grado di essere letto dal device che vogliamo controllare, come una protesi, un robot, un cursore su schermo o un muscolo stesso del portatore di BCI.

Sebbene qualsiasi metodica di registrazione del segnale cerebrale si sia dimostrata efficace per la creazione di una interfaccia cervello-computer, le metodiche più invasive, cioè quelle che richiedono un’operazione chirurgica per impiantare gli elettrodi direttamente a contatto con il tessuto cerebrale, sono preferite in quanto permettono una registrazione più precisa del segnale.

La qualità del segnale ottenuto con questo tipo di metodiche deve tuttavia fare i conti con l’utilizzo di elettrodi dalla limitata versatilità e durata. Costruiti con rigidi metalli o semiconduttori e assemblati insieme in una geometria fissa, questi elettrodi generano infatti frequenti reazioni immunitarie potenzialmente pericolose e risultano poco performanti sul lungo periodo. Candidati ideali per ovviare ai limiti degli elettrodi rigidi sono quelli in polimero, dotati di maggiore biocompatibilità e performance, ma la cui dimensione e flessibilità rende praticamente impossibile il loro inserimento attraverso le attuali procedure.

Elettrodi in polimero sviluppati da Neuralink. A. 32 elettrodi disposti linearmente a 50 μm di distanza. B. 32 elettrodi disposti “ad albero” a 75 μm di distanza.

Elettrodi in polimero sviluppati da Neuralink. A. 32 elettrodi disposti linearmente a 50 μm di distanza. B. 32 elettrodi disposti “ad albero” a 75 μm di distanza.

Neuralink si è inserita a gamba tesa in questa sfida, progettando un sistema altamente innovativo destinato a rivoluzionare il settore. Lontani dalle invasive e lunghe operazioni necessarie per impiantare i correnti sistemi BCI, Musk promette un intervento semplice e veloce come il LASIK, l’operazione laser per la correzione della miopia. Con il sistema Neuralink, infatti, basterà un’apertura di meno di 8 mm per inserire 3.072 elettrodi disposti in 96 fili di polimero più sottili di un capello (4-6 μm).

Durata dell’intervento? Circa 45 minuti, grazie al robot sviluppato dall’azienda, uno strumento in grado di inserire 6 fili al minuto in modo accurato e automatico, evitando i vasi sanguigni e riducendo drasticamente l’infiammazione dei tessuti che di solito consegue chirurgie così invasive.

Guardando il video sembra di trovarci davanti a una sofisticatissima macchina da cucire dotata di un ago sottilissimo (10 μm) in grado di impiantare gli elettrodi alla profondità desiderata, ben quattro telecamere e un modulo ottico che utilizza la luce per localizzare il filo da inserire e la superficie di lavoro.

Dettaglio della cartuccia (ricambiabile in meno di 10 minuti) in dotazione al robot sviluppato dal team Neuralink. Un ulteriore ingrandimento rivela: A. l’ago sottilissimo che inserisce gli elettrodi con precisione millimetrica e B. la guida per mantenere gli elettrodi in posizione durante l’inserimento.

Dettaglio della cartuccia (ricambiabile in meno di 10 minuti) in dotazione al robot sviluppato dal team Neuralink. Un ulteriore ingrandimento rivela: A. l’ago sottilissimo che inserisce gli elettrodi con precisione millimetrica e B. la guida per mantenere gli elettrodi in posizione durante l’inserimento.

Senza lasciare niente al caso, il team di ricercatori ha sviluppato un’elettronica all’altezza della mole di dati provenienti da un così elevato numero di elettrodi. ASIC, l’ultima versione del chip implementato dall’azienda, è infatti in grado di registrare, ripulire, amplificare e trasmettere in tempo reale i dati di 256 canali. Il montaggio di questi chip segue due configurazioni principali: una in grado di registrare 1536 canali con un’ottima qualità e precisione, e una dalle performances inferiori ma in grado di sostenere una densità di 3072 canali (12 chip ASIC). In entrambi i casi, la trasmissione dei dati è unicamente possibile attraverso una uscita cablata USB-C.

(A) Elettrodi impiantati nel cervello di un topo. (B) Visione esterna del chip ASIC con uscita USB-C.

(A) Elettrodi impiantati nel cervello di un topo. (B) Visione esterna del chip ASIC con uscita USB-C.

 

Dettaglio del sensore utilizzato per raccogliere e decifrare il segnale elettrico registrato dagli elettrodi. È possibile notare i 12 chip ASIC in grado di raccogliere i dati di 256 canali ciascuno e i fili contenenti gli elettrodi che verranno impiantati nel cervello (B). Il sensore è racchiuso in un gusto di titanio (C) e ha in uscita un connettore digitale USB-C (D).

Dettaglio del sensore utilizzato per raccogliere e decifrare il segnale elettrico registrato dagli elettrodi. È possibile notare i 12 chip ASIC in grado di raccogliere i dati di 256 canali ciascuno e i fili contenenti gli elettrodi che verranno impiantati nel cervello (B). Il sensore è racchiuso in un gusto di titanio (C) e ha in uscita un connettore digitale USB-C (D).

L’obiettivo finale è tuttavia più ambizioso e prevede l’utilizzo della tecnologia wireless grazie al sensore N1. Definito da Max Hodak, presidente di Neuralink, come un “piccolo pacchetto ermetico” di 8×4 mm, il sensore sarà in grado di registrare e stimolare 1024 canali EEG e comunicare i dati ad un piccolo device bluetooth posto dietro l’orecchio, qualcosa di simile ad un apparecchio acustico. La vera magia? Il device sarà semplicemente connesso al proprio telefono o tablet, permettendone un uso quotidiano e autonomo da casa, liberando la BCI dalle mura di un ospedale o di un centro di ricerca e rendendola pratica, sicura e duratura.

Il sensore N1 attualmente in progettazione differirà dal sensore correntemente in uso per la sua capacità di trasmettere e inviare dati tramite tecnologia Bluetooth.

Il sensore N1 attualmente in progettazione differirà dal sensore correntemente in uso per la sua capacità di trasmettere e inviare dati tramite tecnologia Bluetooth.

I risultati sono sorprendenti ed incoraggiano a pensare che entro il 2020 Neuralink possa ottenere il via libera dalla FDA (l’ente governativo statunitense che si occupa di regolamentare i prodotti farmaceutici) per la prima sperimentazione clinica su persone affette da quadriplegia a seguito di una lesione midollare. L’obiettivo sarà quello di impiantare 4 sensori N1 da 1024 canali nella corteccia motoria primaria, nell’area motoria supplementare (SMA) e nella corteccia premotoria dorsale, tutte aree deputate alla programmazione, controllo ed esecuzione di movimenti volontari. A questi verrà inoltre aggiunto un feedback ulteriore alla corteccia somatosensoriale, area necessaria per muoverci senza affidarci totalmente alla vista (ad esempio digitare una parola senza guardare la tastiera).

Neuralink potrà sollevare milioni di persone dal peso di una disabilità

Sebbene l’obiettivo primario sia quello di sollevare milioni di persone dal peso di una disabilità, Musk ci avverte che l’utilizzo clinico è solo la punta dell’iceberg degli utilizzi possibili delle BCI e che è intenzionato ad andare quanto più a fondo possibile nella questione. Lo dichiara chiaro e tondo a pochi minuti dell’inizio della presentazione, affermando di aver fondato Neuralink anche con lo scopo di preservare e migliorare le nostre capacità cerebrali e di costruire un futuro in linea con l’avanzamento tecnologico in corso.

Parliamo in questo caso non di restituire autonomia a pazienti con disabilità ma di bioenhancement, il miglioramento delle nostre performance cognitive e sensoriali grazie all’utilizzo della tecnologia. In un futuro neanche troppo lontano potremmo quindi ricordare molto di più, fare una divisione a 6 cifre in un battito di ciglia, dormire meno di tre ore e sentirci riposati, insomma, trascendere i limiti del nostro corpo fisico e unirci alla tecnologia per essere più performanti.

Suonerà strano ma l’idea è quella di raggiungere una specie di simbiosi con l’intelligenza artificiale”, ha aggiunto Musk dal palco della California Academy of Sciences. L’imprenditore, noto per la sua voracità e ottimismo verso l’avanzamento tecnologico, non ha mai tuttavia nascosto la sua preoccupazione verso lo sviluppo di intelligenze artificiali, tanto da definirle come “la minaccia più grande all’umanità.

Il timore principale, così forte da spingere l’imprenditore a creare OpenAI, fondazione atta a promuovere una intelligenza artificiale senza rischi, è che un giorno tali intelligenze arrivino a superare quelle umane, condannandoci a conseguenze imprevedibili se non adeguatamente controllate. Tale preoccupazione non è un grido isolato: Nick Bostrom, filosofo della Oxford University, nel suo libro Superintelligence sostiene che un sistema di intelligenza artificiale mal disegnato sarà impossibile da correggere una volta avviato in quanto farà in modo che ciò non accada. Fantascienza? Forse, ma come afferma Max Tegmark, professore di fisica all’IMT di Boston

in caso di armi nucleari o intelligenze artificiali non vogliamo imparare dai nostri errori.

Non sappiamo se ci troveremo effettivamente obbligati ad evolverci in cyborg per adattarci alla minaccia di una intelligenza artificiale fuori controllo ma è certo che anche solo la possibilità di eseguire un “upgrade tecnologico” al nostro cervello solleva importanti questioni antropologiche ed etiche.

L’uomo Sapiens, la cui evoluzione è sempre dipesa da fattori biologici, potrebbe infatti rapidamente cedere lo scettro evolutivo ai cosiddetti trans-umani, uomini in grado di sfruttare la tecnologia per trascendere i propri limiti biologici. Musk, abbandonando ogni distopia, promette che un giorno non vorremmo fare a meno di questo extra-strato di intelligenza come oggi non vogliamo scegliere se fare a meno della nostra corteccia prefrontale (sede principale delle nostre funzioni cognitive superiori) o del nostro sistema limbico (sede primordiale delle nostre emozioni e istinti). In una società come quella occidentale, sempre più ossessionata da qualità come l’efficienza e la produttività, la possibilità di “hackerare” il proprio cervello e piegarlo ai nostri bisogni è sicuramente attraente e difficile da arginare.

Il rischio concreto non è molto diverso da quello che stiamo già vivendo: confondere il vivere bene con il funzionare bene, pensare di vivere meglio semplicemente funzionando meglio.

Non ci resta che attendere e osservare da vicino e con attenzione gli sviluppi, per poter intervenire e decidere in modo puntuale e consapevole.

 

Articolo di Elisa Tatti,

PhD, Neuroplasticity Lab – CUNY School of Medicine, New York, USA

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