Un nuovo studio riapre il dibattito scientifico sull’uso del DSM 5 per le diagnosi psichiatriche, che sarebbero scientificamente insensate, inutili per identificare disturbi mentali e suggerire quindi indicazioni terapeutiche
Partiamo dalla fine: il prof. Peter Kinderman, co-autore dello studio pubblicato su Psychiatry Research, ha dichiarato che
Abbiamo ulteriori prove del fatto che l’approccio diagnostico biomedico in psichiatria non è adatto allo scopo. Le diagnosi frequentemente e acriticamente riportate come “malattie reali” sono in realtà fatte sulla base di schemi internamente incoerenti, confusi e contraddittori di criteri ampiamente arbitrari. Il sistema diagnostico presuppone erroneamente che tutto il disagio derivi dal disordine e si basa fortemente su giudizi soggettivi su ciò che è normale.
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Due persone possono ricevere la stessa diagnosi senza avere nessun sintomo in comune
Kinderman parla di “ulteriori prove” riferendosi a studi come quello di Young che nel 2014 calcolò che nel DSM-5 ci sono 270 milioni di combinazioni di sintomi che soddiferebbero i criteri sia per il Disturbo da Stress Post Traumatico che per il Disturbo Depressivo Maggiore; quando affiancati ad altri cinque disturbi comunemente diagnosticati, questa cifra sale a un quintilione di combinazioni di sintomi – più del numero di stelle nella Via Lattea, per intenderci.
L’eterogeneità diagnostica è problematica sia per la ricerca che per pratica clinica. Se la ricerca si concentra su categorie diagnostiche così ampie o su difficoltà ed esperienze specifiche, i risultati sono chiaramente molto diversi. Allo stesso modo la clinica può non trovare vere indicazioni di intervento in una diagnosi che può comprendere sintomi diversissimi nella persona e tra le persone. Così uno psicologo che si specializza nel trattamento di disturbi d’ansia potrebbe trovarsi davanti ogni volta una sintomatologia talmente diversa da vanificare qualunque formazione di intervento tecnico sul sintomo.
I capitoli del DSM 5 esaminati
Lo studio si è concentrato su cinque capitoli del DSM-5:
- Schizofrenia e altri disturbi psicotici
- Disturbi bipolari
- Disturbi depressivi
- Disturbi d’ansia
- Disturbi correlati a eventi traumatici e fattori stressanti
Questi capitoli sono stati scelti perché riflettono le diagnosi psichiatriche più comuni. Un’altra diagnosi comune non più contenuta nei capitoli inclusi è il Disturbo Ossessivo-Compulsivo”. Se fino alla precedente edizione (DSM-IV-TR, American Psychiatric Association, 2000) questo si trovava tra i disturbi d’ansia, nel DSM-5 ha una propria dignità in un capitolo (Disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi correlati) che include numerose altre diagnosi anche meno comuni, come la “tricotillomania”. Questo capitolo, pertanto, è stato escluso dall’analisi, così come le diagnosi infantili.
Oltre al problema non banale della notevole sovrapposizione ed eterogeneità dei sintomi che secondo gli autori renderebbe il DSM 5 “un sistema categorico falso”, i principali risultati della ricerca hanno puntato i riflettori sul fatto che:
- tutte le diagnosi psichiatriche utilizzano regole decisionali diverse,
- quasi tutte le diagnosi nascondono o non considerano il ruolo del trauma e degli eventi avversi,
- le diagnosi sono troppo poco informative sul singolo paziente, sulla persona, e di quale trattamento hanno bisogno.
A tal proposito Kate Allsopp, prima autrice dello studio, ha dichiarato che
Le etichette diagnostiche creano l’illusione di una spiegazione, ma sono scientificamente prive di significato e possono creare stigmatizzazione e pregiudizio. Spero che questi risultati incoraggino i professionisti della salute mentale a pensare al di là delle diagnosi e prendere in considerazione altre spiegazioni del disagio mentale, come il trauma e altre esperienze di vita avverse.
Il professor John Read, Università di East London, ha dichiarato
Forse è ora che smettiamo di fingere che le etichette dal suono medico contribuiscano alla nostra comprensione delle complesse cause dell’angoscia umana o del tipo di aiuto di cui abbiamo bisogno quando siamo in difficoltà
Tornando in Italia, ho trovato molto interessante il commento di Andrea De Giorgio, professore associato di Psicologia fisiologica e delle emozioni all’Università eCampus e autore, oltre a numerose pubblicazioni scientifiche, del libro “La mente mente?” edito da Galata Edizioni. L’ho invitato a raccontarlo qui.
Il DSM è stato molto prezioso poiché ha contribuito a offrire un linguaggio comune sul quale confrontarsi, ma con gli anni e le varie revisioni ha subìto diverse distorsioni, generando un’inflazione diagnostica che è proprio ciò su cui mettono in guardia gli autori di questo preziosissimo studio. Del resto, tracciare una linea tra chi è sano e chi è malato ha ricadute importanti, basti pensare a quanto una diagnosi decida chi verrà sottoposto a una terapia o meno. Pensiamo al termine ‘schizofrenia’: non definisce una malattia vera e propria o non dà spiegazioni circa le sue cause, è un termine che definisce una serie definita di problemi psichiatrici. Inoltre, se ognuno di noi leggesse il DSM-5 non farebbe fatica a trovare una comoda collocazione. Ma alcuni comportamenti fanno parte di noi: possiamo essere allegri, arrabbiati, timidi o tristi per un lutto. È quando la sofferenza diventa tale da sovvertire la normale qualità della vita che è necessario attenzionare il problema. Ho il sospetto, ma è un eufemismo, che negli ultimi anni la soglia per definire la ‘sofferenza’ si sia abbassata. In psicologia così come in medicina, e quindi in psichiatria, è necessario tener conto dell’essere umano. Ancora più precisamente della persona umana, con i suoi vissuti unici e irripetibili. È necessario iniziare a guardare le persone che soffrono come tali e non come pazienti cui dare un’etichetta, perché con essa si identificheranno e da essa faranno fatica a liberarsi. Il cervello è un organo che per il suo funzionamento ha del miracoloso. Come lo è la singola persona: un miracolo. Ogni giorno, ogni istante.