Il disturbo da gioco d’azzardo consiste nell’incapacità a resistere a ricompense monetarie incerte nonostante i danni finanziari già accumulati. Si definisce dipendenza a partire dalla quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, cioè dal 2013.
Sebbene non comporti l’utilizzo di sostanze psicoattive, condivide molte caratteristiche con le dipendenze classicamente conosciute (esempio, alcol, cocaina, nicotina, etc):
- il continuo impegno nell’attività nonostante le conseguenze negative
- un minore autocontrollo
- una forte necessità di usare/ giocare e lo stato di craving (ovvero di bramosia), che si riflettono in meccanismi coincidenti anche a livello cerebrale
La volontà non è un concetto adeguato a spiegare i meccanismi che sostengono questo disturbo. Il meccanismo alla base è infatti molto più complesso.
Indice
Come diventiamo dipendenti dal gioco d’azzardo
Innanzitutto, è necessario tener conto che ogni dipendenza attecchisce in un sistema che va al di là dei meccanismi di funzionamento della sostanza stessa. Ovvero caratteristiche genetiche, storia di vita, fattori ambientali, meccanismi d’azione della sostanza definiscono tutti assieme uno spazio più o meno ospitale al radicamento di una dipendenza. Inoltre, il processo che porta alla dipendenza inizia prima dell’emergere dei sintomi.
Uno dei processi che sta alla base della dipendenza è l’apprendimento e la memorizzazione di associazioni tra stimoli, che porta all’attivazione di risposte comportamentali anche quando disfunzionali (come nelle dipendenze!). La sostanza che sostiene questo meccanismo si chiama dopamina ed è un neurotrasmettitore coinvolto nei circuiti della gratificazione e della motivazione (in parole povere, del piacere).
Uno studio sulle scimmie
In uno studio sperimentale i ricercatori hanno impiantato degli elettrodi in un’area cerebrale coinvolta nel sistema della ricompensa di alcune scimmie e le hanno addestrate a osservare stimoli visivi che venivano proiettati sullo schermo di un computer. Gli stimoli visivi erano delle luci colorate e, a seconda del colore emesso succedevano cose diverse: accensione luce verde voleva dire che sarebbe arrivata una dose di sciroppo zuccherato, accensione luce rossa voleva dire che non sarebbe successo nulla.
Le scimmie imparavano l’associazione ma ciò che di sorprendente accadeva era che una volta avvenuto l’apprendimento i neuroni dopaminergici (che abbiamo visto essere associati al piacere e quindi si sarebbero dovuti attivare qualora la scimmia avesse sperimentato il piacere) iniziavano ad aumentare la loro scarica prima dell’arrivo della ricompensa (sciroppo zuccherato).
L’aver appreso che quando compariva la luce verde sarebbe arrivato lo sciroppo zuccherato, rappresentava di per sé il piacere (anticipazione della ricompensa).
Non era più essenziale lo zucchero. Così i ricercatori hanno introdotto una terza luce, blu, che indicava che solo nel 50% dei casi sarebbe arrivato lo sciroppo zuccherato. Ciò che si è osservato è stato un aumento dell’attività nel circuito del piacere per effetto dell’incertezza.
Il meccanismo nel cervello umano
Quel che si è osservato nelle scimmie non è distante da quel che accade in un giocatore d’azzardo mentre osserva scorrere i simboli in una slot machine. Il design degli apparecchi elettronici per il gioco d’azzardo nasce proprio a partire da un ragionamento sui meccanismi neurobiologici dell’essere umano in modo da la persona passi facilmente dall’abitudine al gioco alla necessità dello stesso, ovvero la dipendenza.
Un fenomeno comune ed esemplificativo è quello delle quasi vincite. La quasi vincita si verifica per esempio quando dopo il giro dei rulli nella slot compaiono tutti i simboli sono uguali, tranne uno. Questo evento che per definizione è una perdita viene interpretato in modo erroneo dal giocatore, come una quasi vincita.
La stessa cosa accade nella lotteria: per vincere dovrebbe uscire il numero 43, e invece esce il 42. Abbiamo perso, ma interpretiamo l’esito come “ho quasi vinto”. E dunque giochiamo ancora.
L’apprendimento implicito e la memorizzazione alla base dei comportamenti di ricerca dell’oggetto della dipendenza e del craving hanno una ricaduta molto importante nei trattamenti clinici, soprattutto per quello che rimane il nocciolo duro nel post trattamento, ovvero la prevenzione delle ricadute.
Sull’autrice
Sono una psicologa dell’Ordine degli psicologi del Veneto, laureata presso l’Università di Padova in Neuroscienze e riabilitazione Neuropsicologica. Ho trascorso sei mesi presso l’Università di Oslo dove mi sono occupata di depressione. Sto coltivando i miei interessi nell’ambito delle Neuroscienze delle Dipendenze, in particolare del gioco d’azzardo.