HomeSocietàAttualitàIl cervello non conosce democrazia. Come le neuroscienze possono migliorare la politica

Il cervello non conosce democrazia. Come le neuroscienze possono migliorare la politica

mano inserisce scheda votata

Secondo uno studio della University of British Columbia il nostro cervello non è fatto per essere democraticoLa tesi sostenuta da David Moscrop, ricercatore in scienze politiche, richiama un po’ quella che abbiamo analizzato subito dopo l’elezione del nuovo presidente degli Stati UnitiLa democrazia moderna è stata costruita sull’idea che i cittadini siano razionali e autonomiMa gli elettori – di tutti gli orientamenti politici – sono più propensi a votare con l’istinto che con la ragione. 

Siamo spinti all’azione dai nostri cosiddetti cervelli primordiali.

Il cervello primordiale – cosiddetto rettiliano – include quelle aree del nostro cervello sviluppatesi tra i 500 e i 150 milioni di anni fa ed è il principale responsabile di quell’istinto, di quelle emozioni e di quei ricordi viscerali che influenzano le nostre decisioni. Questo almeno secondo la Teoria del cervello trino elaborata diversi anni fa da Paul D. MacLean, medico e neuroscienziato statunitense.

Al cervello rettiliano – che si occupa quindi dei bisogni e degli istinti innati nell’uomo – si contrappone la neo-cortex (quella che dovremmo usare quando andiamo a votare), area responsabile del ragionamento, del pensiero astratto e della coscienza (per dirne alcune).
Quando andiamo ad analizzare il funzionamento del cervello, ci rendiamo conto però che solo una piccola percentuale di quel che viene elaborato raggiunge la nostra coscienza (gli scienziati ritengono che circa il 95% della nostra attività cerebrale sia subconscia o inconscia).

È errato pensare che abbiamo il pieno controllo di quel che facciamo. Non abbiamo le risorse mentali per elaborare tutto ciò che è nel nostro ambiente in modo consapevole, riusciamo a prestare attenzione solo a una piccola percentuale del contesto in cui ci troviamo. Gli stimoli però raggiungono comunque il nostro cervello e, anche se in maniera inconsapevole, riusciamo ad eleborarne molti più di quanti non crediamo. Questa elaborazione non cosciente di fatto influenza le decisioni che prendiamo. –Tanya Chartrand, professore di neuroscienze e psicologia presso la Duke University

Un classico studio – esempio di come gli stimoli influenzano il nostro comportamento senza che ce ne accorgiamo viene da un esperimento del 1996 in cui lo psicologo John Bargh – New York University – chiese ad alcune persone di rielaborare delle frasi. Ebbene, i soggetti che erano stati esposti a parole come “pensione” e “Florida” (località pensionistica) – avevano lasciato il laboratorio di ricerca camminando più lentamente rispetto ai soggetti che erano stati esposti a parole neutrali. In psicologia, questo effetto è noto come effetto “priming”: si riferisce al fenomeno per il quale l’esposizione ad uno stimolo influenza la risposta a stimoli successivi.

Oggi siamo andati a votare. Alcuni di noi si saranno sentiti particolarmente coinvolti e magari avranno fatto delle approfondite analisi con pro e contro della X sul foglio del referendum. Alcuni. La maggior parte, no.

Secondo diversi esperti, le campagne elettorali di fatto si basano sul presupposto che le preferenze politiche degli elettori siano già formate. Una campagna, quindi, non ha come scopo coinvolgere i cittadini in uno scambio di idee, ma riaffermare i pregiudizi ideologici esistenti già nella mente della gente.

Anche secondo il filosofo Joseph Heath, gli spot elettorali farebbero leva sulle reazioni viscerali-emotive, piuttosto che sulla ragione.

Se comunica attraverso la stimolazione visiva, non si incoraggia un apprezzamento razionale. La ragione è molto, molto più lenta dell’emozione. La velocità degli spot incoraggia le reazioni viscerali.

Lo stesso filosofo, precisa:

Abbiamo la tendenza a pensare alla razionalità umana come qualcosa di situato in profondità dentro il nostro cervello. Mentre la ricerca in ambito psicologico dimostra che la razionalità è il risultato della collaborazione con altre persone in un ambiente particolare. Il sistema politico dovrebbe essere concepito tenendo a mente questi nostri limiti cognitivi.

Anche il nostro ricercatore David Moscrop è dell’idea che se riconosciamo i nostri limiti mentali, possiamo progettare una democrazia che tenga conto nostri difetti cognitivi… Magari saremo tanto lungimiranti da fare tesoro di questi dati scientifici per progettare il prossimo referendum o la prossima elezione… Magari…

Articolo tratto da CBCNews|Politics (Why our brains aren’t built for democracy).
Scritto da

Donatella Ruggeri è l'ideatrice e fondatrice di Hafricah.Net. Da sempre affascinata dal funzionamento del sistema nervoso, dopo aver studiato neuropsicologia e maturato esperienza sul campo, è rientrata nella sua città natale - Messina - dove svolge la libera professione. Tra i suoi interessi vi sono la scrittura creativa, i viaggi e le escursioni naturalistiche.

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