Articolo a cura di Doriana Chirico
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É necessario educare alle emozioni!
Vera Cuzzocrea è psicologa, psicoterapeuta ad orientamento breve strategico ed esperta in psicologia giuridica. Da anni si occupa di bullismo. É anche Doctor of Phylosophy in Psicobiologia dell’Uomo: titolo ottenuto grazie ad un progetto sul Bullismo e i comportamenti a rischio in adolescenza. In occasione dell’evento Emozioni in Rete promosso dall’Ordine degli Psicologi del Lazio durante il Festival della Psicologia, l’ho incontrata per approfondire la questione calda del cyberbullismo e per comprendere come noi professionisti, ma soprattutto adulti consapevoli, possiamo renderci parte attiva per contrastare questo fenomeno.
Doriana Chirico. Bullismo e cyberbullismo. Spesso si sceglie di sensibilizzare attraverso video, corti cinematografici. Oggi si è scelto il teatro: secondo lei qual è il valore didattico che possono offrire queste esperienze comunicative?
Vera Cuzzocrea. Il teatro soprattutto ha un valore fondamentale che è quello di avvicinare i ragazzi e le ragazze in quella che è la sfida più grande: provare a far sì che si vadano a immedesimare in quello che accade, nelle dinamiche, nelle emozioni che circolano, nelle situazioni. Quindi veder rappresentata un’attività, se poi noi adulti siamo in grado di coglierne il significato e di veicolarlo nel quotidiano, al di là di questi eventi occasionali, è uno strumento fondamentale per avvicinare a ciò che accade. Oltretutto quando questi eventi fanno riferimento a casi reali, e devo dire che io ne ho ascoltati tanti, sia nell’ascoltare delle vittime, sia nell’ascoltare dei ragazzi o delle ragazze che ne sono autori, è molto molto simile a quanto accade nella realtà: purtroppo non sempre finisce così bene.
D.C. 13 Reasons Why, la recentissima serie tv Netflix ha ottenuto un successo mediatico strepitoso. Moltissimi sono i giovani che hanno manifestato la volontà di renderne la visione obbligatoria nelle scuole.
V.C. Non entro nel merito della serie in quanto non l’ho ancora vista e non posso esprimere un giudizio. Quello che posso dire è questo: ai ragazzi e alle ragazze piace. È quindi qualcosa che li attrae, giusto o sbagliato che sia, utilizziamo quello che a loro piace. Altrimenti è davvero inutile.
D.C. Secondo lei in che modo noi psicologi potremmo sensibilizzare i più giovani, soprattutto a saper riconoscere i segnali di aiuto? E in che modo i ragazzi possono rendersi parte attiva, una volta a conoscenza della presenza di un problema?
V.C. Fare quello che stiamo già facendo adesso nelle scuole dell’infanzia: il programma dell’asilo prevede un lavoro sulle emozioni. Non perdiamolo durante la scuola primaria! Quindi, a prescindere dal bullismo, dobbiamo fare questo.
Perché allenare un bambino o una bambina ad essere competente nel sentire, nel riconoscere e nell’esprimere le emozioni, vuol dire farlo diventare un adolescente e un adulto capace di ascoltare un disagio e capace di esprimerlo con delle strategie diverse dall’essere prepotente. Dipende tutto da lì.
Le linee guida internazionali ci suggeriscono questo: formarci ed educarci, per poi attivare un sistema di politiche sociali adeguato.
D.C. Di qualche giorno fa è la notizia de La Repubblica secondo a quale Facebook sarebbe invaso dal revenge porn. Gli offenders vengono indagati per diffamazione, trattamento illecito dei dati personali, ma non per reati di natura sessuale. A mancare è anche la possibilità di rimuovere velocemente i contenuti per tutelare le vittime. In che direzione si augura, da psicologa, avvenga un cambiamento legislativo?
V.C. Non investirei su questo: le leggi ci sono, ci sono delle forze di polizia competenti, per altro c’è un lavoro formidabile dei carabinieri che sono presenti ovunque e della polizia postale che, anche per rimuovere un semplice video, deve attivare delle collaborazioni. Pensiamo al caso di Telegram, non è proprio scontato eliminare quando si creano gruppi di offese, perché i gestori non sono italiani.
Quello che vorrei è nel quotidiano, cioè che tutti noi fossimo più coerenti e capaci di dare un senso: il genitore che dice al bambino di non urlare, urlando, non può essere un genitore che dà un esempio e che ascolta in modo competente, quindi dalle piccole azioni da parte di tutti.
Così l’insegnante che continua a interrogare, mette in difficoltà e non si rende conto che un bambino i cui genitori mi riferiscono “Mio figlio è in difficoltà: è all’ultimo banco, non riesce ad essere interrogato, perché vede che tutti i compagni si girano e lo guardano.” Basterebbe poco: metterlo in prima fila, ad esempio, usando un modo più accogliente.
Rendiamoci conto del disagio: iniziamo prima noi adulti ad essere coerenti e magari imparano anche loro.
Sull’autrice
Doriana Chirico, Dott.ssa in Neuroscienze Cognitive e Riabilitazione Psicologica e curiosa di natura. Nel corso degli studi ha coltivato vari interessi: la scrittura, la ricerca neuroscientifica, la psicologia giuridico-forense, le addictions, ma è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da apprendere. Attualmente riunisce queste varie passioni all’interno del blog AddicTo – Psicologia e Dipendenze, nato come spazio di approfondimento e riflessione per formare, informare e soprattutto rendere in-dipendenti!
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