L’ictus è la malattia cerebrovascolare più frequente e può provocare diversi disturbi cognitivi. La neuropsicologia è la disciplina che si interessa alla diagnosi e al trattamento dei disturbi cognitivi conseguenti ad ictus
Dal punto di vista medico l’ictus è un disturbo neurologico focale a sviluppo improvviso dovuto ad un processo patologico all’interno dei vasi sanguigni.
Cosa succede in pratica? Durante un ictus il flusso di sangue viene interrotto e, di conseguenza, le sostanze nutrienti non arrivano al cervello creando un’area di tessuto danneggiato o morto.
Gli ictus possono essere di natura ischemica o emorragica. I primi si verificano quando un vaso sanguigno si ostruisce a causa di una trombosi o embolia cerebrale, quelli emorragici, quando i vasi si rompono a causa dell’ipertensione, di un aneurisma o di una malformazione artero-venosa.
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Quali sono le conseguenze dell’ictus?
Le conseguenze di un ictus dipendono da vari fattori, in primis la gravità, l’estensione della lesione e l’area cerebrale coinvolta. Anche piccole lesioni in determinate aree possono provocare gravi deficit.
I più evidenti sono i deficit motori e sensoriali, ma intaccando il cervello, l’ictus può comportare anche disturbi cognitivi.
Il deficit cognitivo più visibile anche ad un occhio non esperto, è il disturbo di linguaggio. È il più visibile e riconoscibile ma non è l’unica conseguenza possibile. In base all’area cerebrale coinvolta, potremmo osservare deficit di memoria, di attenzione, di riconoscimento, del ragionamento, della programmazione motoria, della pianificazione ed esecuzione di compiti complessi e così via.
Oltre ad avere un’influenza diretta sulla qualità di vita dei pazienti e dei loro caregivers, i disturbi cognitivi dopo un ictus sono associati ad una maggiore mortalità e probabilità di istituzionalizzazione e a maggiori costi per il sistema sanitario.
Oltre ai disturbi cognitivi, un ictus può avere conseguenze anche sul piano emotivo-comportamentale, specialmente quando le aree coinvolte sono quelle dei lobi frontali. In questi casi si può osservare un cambiamento della personalità. La persona colpita può apparire più disinibita, rigida, irritabile o, al contrario, apatica, demotivata, senza più interesse per ciò che la circonda.
I familiari potrebbero notare una difficoltà della persona a riprendere le attività della vita quotidiana, minore efficienza nei compiti che prima svolgeva in autonomia, un cambiamento della personalità, ma non saprebbero individuarne la causa nè come gestire tali difficoltà.
In che modo la neuropsicologia può essere di aiuto?
La valutazione neuropsicologica individua quali sono le abilità cognitive intaccate dall’ictus e in che modo incidono o potrebbero incidere sulla vita quotidiana del paziente e sulla ripresa della sua autonomia.
Se è vero che per i disturbi motori si effettua la fisioterapia, per i disturbi cognitivi e comportamentali è necessario un intervento di tipo neuropsicologico.
Solo avendo un quadro completo del funzionamento cognitivo si potrà programmare un intervento di riabilitazione neuropsicologica mirato ed individualizzato. Questo sarà impostato secondo le linee guida e gli approcci riconosciuti come più efficaci.
Gli approcci riabilitativi dopo un ictus possono essere classificati in restitutivi e compensatori.
Nel primo caso si lavora sulle singole funzioni danneggiate, con l’obiettivo di recuperarle quanto più possibile. La riabilitazione è intensiva e si effettua attraverso esercizi, al pc o carta-matita, specifici per l’abilità oggetto del trattamento.
Nel secondo caso si insegnano strategie che permettano al paziente di aggirare l’uso dell’abilità deficitaria. Alcuni esempi sono l’adattamento dell’ambiente (casa, lavoro, ecc.), l’utilizzo di ausili esterni, come diari e agende e l’uso di metodi alternativi attraverso cui effettuare le attività.
Le risorse del paziente in termini di collaborazione e consapevolezza, le possibilità di recupero, il tipo di abilità danneggiata e altri fattori, determineranno la scelta dell’approccio riabilitativo più adatto.
L’obiettivo generale e finale dell’intervento neuropsicologico, a prescindere dalla metodologia utilizzata, resta quello di aiutare la persona colpita ad acquisire la maggior autonomia possibile.
Francesca Pisacreta, psicologa